Tutto è iniziato per caso, quasi un anno e mezzo fa. Andai alla finale di una competizione tra startup e conobbi tante persone interessanti. Da alcune di queste fui invitato a passare assieme la serata. Mangiammo assieme e rimanemmo in chiacchiere fino a notte fonda. Tornai a casa attorno alle 4:30.
Ero entusiasta delle nuove conoscenze fatte. Fin da subito fu chiaro che non si trattasse di persone comuni. Era evidente che avessero una marcia in più, idee fresche, insolite.
Qualche settimana dopo, uno dei nuovi conoscenti mi contattò, invitandomi a vederci per scambiare quattro chiacchiere; aveva una proposta da farmi. Accettai.
Ci incontrammo in un parco qualche giorno dopo. Tra il verde iniziò a parlarmi dei mastermind e mi propose di fondarne uno.
Non era la prima volta che sentivo parlare di mastermind. Il primo utilizzare la parola mastermind è stato Napoleon Hill, definito da Wikipedia come «uno scrittore e saggista statunitense, uno dei primi produttori del moderno genere letterario del successo personale».
Il concetto alla base del mastermind è che l’unione di più menti porti a un vantaggio superiore, maggiore della somma delle singole menti separate. Si tratta di una cooperazione sinergica positiva tra menti. In altre parole: un team può fare di più della somma del lavoro dei singoli membri del team separati.
Perché?
L’intelligenza collettiva è superiore alla somma delle singole intelligenze perché, grazie alla cooperazione, ci si può affidare ad un più ampio numero di competenze, alcune delle quali complementari a quelle del singolo.
Il nostro mastermind nasceva nel giugno 2018. Inizialmente eravamo in tre. Poi, a mano a mano, siamo cresciuti, non solo quanto a idee e competenze maturate ma anche quanto a numero di membri. Attualmente siamo: un imprenditore seriale (colui che mi propose di fondare il mastermind), un informatico, una neuroscienziata, un dottore in economia, un’ingegnera informatica, e me stesso, studente di biotecnologie. L’obiettivo non è diventare tanti e rapidamente bensì pochi e lentamente. La qualità viene prima della quantità. Trovare le giuste persone per il mastermind è complesso.
Il mastermind ideale dovrebbe:
- essere quanto più eterogeneo possibile quanto a membri presenti e competenze da essi possedute. Il nostro risulta fortemente sbilanciato verso l’area scientifica, e, per ora, ci piace così;
- essere composto da 3-4 persone massimo. Troppi membri renderebbero più difficile un’interazione costante e proficua;
- avere al suo interno persone dalla mentalità aperta, compatibile con quella degli altri membri.
Durante il primo periodo ci siamo visti con costanza, una volta alla settimana. Poi abbiamo notato che fosse eccessivo. Vedendoci tanto spesso iniziavamo ad esaurire gli argomenti e far perdere di interesse e utilità il mastermind. Così in un secondo periodo ci siamo visti ogni due settimane, poi ogni mese.
Adesso, dopo un anno e mezzo, complice l’aumentata mole di impegni e la pandemia, abbiamo perso un poco di costanza nel vederci. Dobbiamo trovare nuova linfa, nuove idee. Dobbiamo far rinascere la nostra unione di menti.
Ad ogni nostro incontro ciascuno parla di qualche minuto di un problema che lo attanagliava e che avrebbe voluto fosse risolto dall’unione di menti o di un qualcosa – positivo o negativo – che vuole condividere col mastermind, utile alla crescita di tutti i membri.
Mi sento di consigliare a tutti un’esperienza simile. Ciò che mi ha dato il mastermind è difficile da descrivere esattamente. Posso però dire che sia qualcosa che nessun altra esperienza mi avrebbe potuto offrire e che non sarò mai abbastanza grato al ragazzo che mi propose di fondare il nostro.
Tutti dovrebbero avere il proprio mastermind.