Questo è solo l'inizio del mio Erasmus+ Traineeship in Svezia durante la pandemia di COVID-19. Confido di raccontarti i prossimi mesi in altri post che pubblicherò mese dopo mese. Se anche tu stai valutando di fare un periodo all'estero grazie al programma Erasmus+ potrebbe esserti utile leggere anche Erasmus+: cosa dovresti sapere. Per questioni contrattuali devo specificare a chiare lettere che non sono stato assunto dal Karolinska Institutet. Sono qui in veste di affiliato e, in ultimo, di tirocinante grazie al programma Erasmus+ Traineeship.
Un nuovo bando
Era il settembre 2020 quando fu pubblicato un nuovo bando dell’Erasmus+ Traineeship. Si trattava della proroga del bando dell’anno precedente. Tantissimi non erano potuti partire così erano state riaperte le candidature.
Inserii tutti i dati necessari e mi candidai. Mi fu richiesta una breve lettera in cui parlavo delle ragioni che mi spingevano a voler fare questa esperienza all’estero, la media ponderata dei miei voti, la mia conoscenza linguistica dell’inglese e, infine, se avessi già una lettera di accettazione da parte di un qualche ente estero dove avrei desiderato fare il tirocinio. La lettera non l’avevo, ma potevo comunque candidarmi. Non era un grande problema, avrei avuto qualche punto in meno, sarei stato un po’ più in basso nella classifica, niente di insormontabile.
Qualche settimana dopo mi fu notificato che avessi superato la selezione.
«Ci piacerebbe ospitarla, ma c’è la pandemia»
Stando al bando, entro un mese dal giorno della notifica di vincita avrei dovuto trovare un’azienda estera interessata ad ospitarmi per un tirocinio. Inviai una valanga di mail e curricula a tantissimi centri di ricerca e università europee, specialmente nei paesi scandinavi. Ho sempre nutrito una certa fascinazione per questi luoghi.
Tutti coloro che risposero mi fecero sapere che purtroppo, per quanto gli avrebbe fatto piacere avermi nel loro team, non fosse possibile per loro accettare nuovi tirocinanti considerata la situazione pandemica. Passarono i giorni. Mancai la deadline.
Ma non era ancora detta l’ultima. Ci fu una proroga ma, una volta ancora, mancai un’altra volta la deadline, sempre per via della pandemia nessuna azienda tra quelle contattate era interessata ad accettare tirocinanti.
Non c’è più niente da fare, è stato bello sognare
Era da poco iniziato il nuovo anno. Giunto a questo punto pensai che non avessi altra alternativa: avrei fatto il tirocinio in Italia, con tutta probabilità nel mio ateneo, l’Università degli Studi di Cagliari. Contattai tanti tra i miei docenti ma la pressoché totalità o non poteva accettare altri tesisti o li avrebbe accettati solo per tesi compilative.
Io volevo ad ogni costo fare una tesi sperimentale ma, ancora una volta per via della pandemia, non era possibile. I posti nei laboratori erano stati limitati a una persona ogni 15 m2 e la priorità era data agli studenti delle lauree magistrali o magistrali a ciclo unico. D’altronde, terminare il proprio percorso di laurea magistrale o magistrale a ciclo unico senza avere alcuna esperienza pratica sarebbe cosa molto più grave che concludere allo stesso modo una triennale, quando ancora è altamente probabile che continuerai gli studi dopo.
Ero quasi rassegnato al fare una tesi compilativa, figurarsi se pensassi più all’Erasmus+ Traineeship.
E invece…
Passarono i mesi. Ero nel bel mezzo della sessione invernale. Avevo disinstallato WhatsApp. Volevo potermi concentrare al massimo sullo studio. Non uso la gran parte dei social network per questa ragione. Dopo diversi giorni senza, reinstallai WhatsApp, giusto per dare uno sguardo, casomai qualcuno avesse inviato qualche messaggio importante. E menomale che l’ho reinstallato.
Ad attendermi c’era un messaggio di una mia cara docente che a cui avevo scritto mesi prima per fare un tirocinio con lei ma che non aveva potuto accettarmi perché esaurito il numero di tesisti che poteva seguire: «Ciao Federico, sono la professoressa […], ti ho inviato due screenshot».
Cosa c’era in quei due screenshot? Un post su Facebook di un suo ex collega alla ricerca di un tirocinante disposto a stare con lui, in Svezia, per almeno sei mesi, presso il Karolinska Institutet.
Svezia, Karolinska Institutet, sei mesi. Subito mi resi conto della portata dell’opportunità che mi si stava parando davanti. Dire che fossi entusiasta è un eufemismo.
Non c’era tempo da perdere. Letto il messaggio balzai fuori dalla biblioteca e risposi alla mia docente che mi chiedeva se fossi potenzialmente interessato. Diamine se lo ero!
Poi presi a chiamare in rapida successione prima il coordinatore del programma Erasmus+ della mia facoltà e poi gli uffici per l’internazionalizzazione del mio ateneo. Volevo sapere se risultassi ancora vincitore e se potessi partire. E risultavo ancora vincitore e potevo partire. C’era solo una piccola fastidiosa nota: avevo tre settimane per concludere tutte le faccende burocratiche, e non erano poche.
Scrissi una mail all’ex collega della mia docente e lui rispose poche ore dopo. Dopo qualche mail fissammo un colloquio via Zoom per il lunedì successivo, due settimane prima della deadline per la consegna dei documenti all’ufficio per l’internazionalizzazione del mio ateneo.
I colloqui
Il primo colloquio andò benone. Mi attendeva un secondo colloquio, stavolta ci sarebbe stato anche il capo del team di ricerca. C’era poco tempo così decisi di portarmi avanti con le procedure burocratiche, a prescindere da quale sarebbe stato l’esito del colloquio finale.
Il fatidico giorno era arrivato, era il giorno dell’ultimo colloquio. Ricordo che poche ore prima andai dal mio parrucchiere per avere un taglio di capelli fresco. Ci tenevo particolarmente a fare la migliore delle impressioni anche sul capo del team. Probabilmente a lui poco interessava del mio taglio di capelli – non era una selezione per una campagna pubblicitaria di uno shampoo – però a me avere i capelli in ordine fa sentire bene, più rilassato e ancora più sicuro di me. Puntuale, avviai Zoom. Il colloquio andò avanti per una mezzora e si concluse con i due che mi salutavano dicendomi che entro la successiva mezz’ora mi avrebbero comunicato l’esito. Sapevano bene che avessi i tempi stretti.
Dopo diversi lunghi minuti il mio iPhone squillò. Era il ricercatore, quello che all’epoca non sapevo ancora sarebbe stato il mio futuro supervisor. La conversazione si aprì su per giù con queste parole: «Hi Federico, we are sorry, better luck next time», ovvero «Ciao Federico, ci dispiace, andrà meglio la prossima volta». Impassibile risposi ringraziandoli per il loro tempo e per avermi chiam… Fui interrotto da «We’re joking! Welcome to the team»: scherzavano e mi davano il benvenuto nel team. Il mio umore si stava facendo un giro sulle montagne russe, ed era finalmente iniziata la discesa.
Ero al settimo cielo.
Entro la serata del il mio supervisor mi inviò la lettera di accettazione firmata e timbrata, uno dei documenti richiesti dagli uffici per l’internazionalizzazione, uno di quelli che avrei dovuto consegnare entro lunedì.
Mancava solo il Learning Agreement. Lo ricevetti firmato e timbrato giusto qualche ora prima della deadline di lunedì.
Poche certezze in tempo di pandemia
Sarei dovuto partire due settimane dopo e ancora dovevo fare un’assicurazione, obbligatoria per fare l’Erasmus+ Traineeship, prenotare i biglietti dell’aereo e il test per il SARS-CoV-2.
L’assicurazione è stata più semplice del previsto da fare. Il vero problema sono stati i biglietti dell’aereo e il test per SARS-CoV-2.
La situazione era instabile, mutevole. Come altro sarebbe potuta essere nel bel mezzo di una pandemia? Ciò che valeva un istante prima non era detto che sarebbe valso l’istante dopo.
Il numero dei voli era ridotto e quindi anziché prendere un diretto da Cagliari a Stoccolma, come avrei potuto fare qualche mese prima, prenotai un volo con due scali, uno a Milano e uno ad Amsterdam, direttamente dal sito di Alitalia.
Giusto per scrupolo decisi di mettermi in contatto con l’ambasciata italiana dei Paesi Bassi. Volevo essere sicuro di non avere problemi per lo scalo per via delle restrizioni per la pandemia.
Gentile Connazionale,
Il tempo che intercorre tra la raccolta dei campioni dal naso e/o dalla gola e l’imbarco sull’aereo o sul traghetto non deve superare le 4 ore. Il risultato del test deve essere conosciuto prima di salire a bordo.
Per la tratta Sardegna-Linate il test non è obbligatorio in quanto si tratta di un regolamento solo Olandese, quindi dovrà mostrare il test alla compagnia che la imbarca per Amsterdam.
Ovviamente verifichi (qual ora impossibilitato a farlo a Linate)con la compagnia se può fare il test in Sardegna anche se dovesse avere conseguenze sulle 4 ore previste.Cordiali saluti,
Ambasciata d’Italia
denhaag.embitaly@esteri.it
+ 31 70 3021030
La risposta fu per me una doccia fredda. Era impraticabile ottenere un tampone antigenico negativo fatto entro le quattro ore prima del mio arrivo nei Paesi Bassi. A questa mail seguirono alcune tra le ore più stressanti che abbia mai vissuto. Iniziai a contattare una marea di persone per trovare una soluzione. Poi mi rivolsi ad agenzie. Camminavo nervosamente tra una chiamata e l’altra nel cortile antistante alla biblioteca.
Si erano fatte le 20:00 e ancora non avevo trovato una soluzione. Ero a pezzi. Il mio sogno era messo in serio pericolo.
Cercavo di non farmi aspettative su ciò che mi avrebbe potuto attendere ma, al tempo stesso, ormai avevo investito parecchie energie e la posta in gioco era alta.
Feci una lunga passeggiata tra la fermata della metropolitana e l’arrivo a casa. Di norma avrei preso un bus. Passeggiare mi è sempre d’aiuto per pensare più lucidamente. Questa volta però fece eccezione.
Arrivai a casa. Si fecero le 22:00. Ero molto provato, molto stanco, irrequieto e ancora non avevo trovato nessuna buona soluzione. Poi, un lampo di lucidità: compra un altro biglietto senza scalo nei Paesi Bassi. Come avevo fatto a non pensarci prima proprio non lo so. Era una soluzione così evidente, così banale, così semplice. Non mi interessava di perdere i soldi del precedente. In gioco c’era troppo.
Memore della passata esperienza, mi accertai che non ci fossero problemi per effettuare lo scalo in territorio francese. Scrissi una volta ancora all’ambasciata italiana, stavolta in Francia, e verificai attentamente su Re-open EU. Le condizioni sarebbero potute cambiare da un momento all’altro nella decina di giorni che mi separava dalla mia partenza. Prenotai un secondo biglietto, stavolta con AirFrance e rimborsabile. Avrei fatto sempre due scali, uno a Roma, nell’aeroporto di Fiumicino, e uno a Parigi, nell’aeroporto Charles de Gaulle.
Andai a dormire a pezzi quella notte. Mi sentivo come un topo in gabbia e per qualche ora avevo perso il controllo ma non mi ero arreso e ne ero uscito vincitore. Ero fiero di me stesso.
Gli ultimi giorni prima del decollo
I giorni successivi mi occupai di concludere altre questioni burocratiche per il programma Erasmus+ e prenotai il tampone richiesto dalla Svezia. All’epoca dei fatti la Svezia accettava qualsiasi tampone purché effettuato entro le 48 ore precedenti all’arrivo e con certificato di negatività in inglese.
Le uniche incognite che avrebbero potuto compromettere il mio arrivo in Svezia ed il mio tirocinio al Karolinska Institutet a questo punto erano solo due:
- un tampone positivo al SARS-CoV-2;
- un cambio delle regole di uno dei paesi in cui avrei fatto scalo o della Svezia.
Se per il primo potevo stare ancora più attento a rispettare le norme anti-contagio per il secondo c’era poco che potessi fare se non sperare che tutto andasse liscio.
Il giorno prima della partenza feci il test per il SARS-CoV-2, un tampone antigenico rapido, e una mezz’ora dopo ottenni il risultato: negativo.
Si vola
La valigia era pronta, la sveglia era puntata per le 4:00 del mattino.
Alle 7:00 presi il primo volo da Cagliari a Roma, alle 15:00 presi il secondo, da Roma a Parigi, alle 21:00 presi il terzo e ultimo, da Parigi a Arlanda, nei pressi di Stoccolma. Arrivai esausto verso le 23:40 in terra svedese. Prima di lasciare l’aeroporto venne controllato il certificato di negatività. Tutto liscio. Ero finalmente ufficialmente in Svezia. Non avevo più ragione di soffocare il mio entusiasmo per paura che qualcosa andasse storto perché ormai tutto quello che poteva andare storto era andato secondo i piani.
Nonostante più di una volta mi sia sembrato impossibile farcela, ce l’ho fatta. E se ce l’ho fatta non è di certo tutto per merito mio.
Sono e sarò sempre infinitamente grato a tutti coloro che hanno reso possibile il concretizzarsi di questa esperienza, tra cui, in modo particolare, alla mia professoressa, che mi ha sempre sostenuto e senza cui niente di ciò che sto vivendo sarebbe potuto essere tale, al mio supervisor presso il Karolinska Institutet, che ha creduto in me fin dal primo colloquio e, ultimo ma non ultimo, al coordinatore Erasmus+ della facoltà di Biologia e farmacia, che è sempre stato pronto a dedicarmi del tempo. Mi preme infine ringraziare ISMOKA, l’ufficio per la mobilità internazionale del mio ateneo, sempre molto attento a noi studenti all’estero. Infine ci terrei a ringraziare la mia famiglia e i miei amici, che mi hanno sempre supportato e, nell’ultimo stressante periodo, sopportato.
Questo è solo l’inizio.